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In occasione del Salone del Libro 2015, sul quotidiano LaRepubblica, nell’inserto dedicato all’evento, compare l’articolo Pagine e app ecco i lettori del futuro di Simonetta Fiori, che dialoga sul tema con Roberta Franceschetti ed Elisa Salamini che al Salone del Libro hanno guidato i DigiLab per bambini.

Eccone il testo integrale:

Già a due anni cambiano la storia di Cappuccetto Rosso. A tre danno vita ad avventure grafiche complesse. A quattro diventano esigenti registi di immagini, suoni, colori, effetti speciali. Sono i lettori del futuro, o forse dovremmo chiamarli ultralettori, perché nel mondo animato delle app la scrittura è soltanto uno degli elementi. E non necessariamente il principale.

In un angolo del Salone del Libro, nel padiglione dedicato ai ragazzi, si intravede una nuova generazione che non è soltanto quella dei “nativi digitali” o “l’app generation”, come sono stati chiamati i figli dell’evo tecnologico. Sono qualcos’altro, ancora più avanti, ancora più di frontiera, sporti su un mondo che non sappiamo cosa sia. Sono i piccoli e piccolissimi che imparano a leggere su un tablet. Gli innumerevoli bambini che oggi incontrano Cenerentola o Biancaneve non sul libro di carta e nel già superato e-book, ma nelle pirotecniche applicazioni in cui sta traslocando la letteratura per l’infanzia. Non occorre il mouse, solo un tocco delicato. Basta un colpo di pollice, da qui l’appellativo di Pollicini inventato da Michel Serres. Una vera rivoluzione culturale che comincia con l’arrivo dell’Ipad.

«È il primo dispositivo mobile con una serie di caratteristiche particolarmente adatte ai bambini: un grande schermo touch a colori, batterie a lunga durata e la possibilità di accedere a una libreria infinita», dicono Roberta Franceschetti ed Elisa Salamini, che guidano al Lingotto i laboratori digitali. Nel mondo degli “ultralibri”, come li chiama il filastrocchiere Tognolini, la narrazione è affidata soprattutto all’illustrazione animata, e il suono sostituisce la parola.

Le possibilità sono molteplici. Il piccolo lettore può aiutare Cenerentola a rassettare in cucina, o lanciarsi in un’avventura grafica senza fine come in Spot di David Wiesner o partecipare alla storia del fagiolo magico come in un videogames. Un po’ più grande, può anche immergersi nelle pagine di Edgar Allan Poe con una colonna sonora dagli effetti terrifici, come se non bastasse l’autore. Cambia radicalmente il modo di narrare le storie e cambia soprattutto il modo di leggerle.

«È una lettura più frammentata e di superficie rispetto a quella immersiva del libro tradizionale», dice Franceschetti che insieme a Salamini cura il sito Mamamò. Molto spesso la scrittura cede il passo alle immagini o a suggestioni sonore. Con quali conseguenze sul piano cognitivo? Bisogna andare a chiederlo agli specialisti, che però non dispongono ancora di dati certi, essendo una rivoluzione troppo recente. Sappiamo come i bambini imparino a leggere, ma non sappiamo ancora in che misura questo processo possa essere influenzato dalle tecnologie digitali.

«Negli Stati Uniti la ricerca è ancora in fase aurorale, ma indagini recenti suggeriscono che i dispositivi digitali devono essere maneggiati con cautela», dice Massimo Ammaniti, studioso di psicopatologia dell’età evolutiva. «Rispetto al testo tradizionale, il nuovo approccio rallenterebbe la capacità di lettura. E l’attenzione è riposta più sullo strumento che sui contenuti della storia». Screen time e non story time , ha sintetizzato Douglas Quenqua in un articolo sul New York Times.

Secondo alcuni studi del 2013, i bambini tra i 3 e i 5 anni i cui genitori leggono le fiabe da libri elettronici hanno minori capacità di lettura rispetto ai coetanei con mammà e papà legati al libro tradizionale. Quando sfogli le pagine — sostengono queste ricerche — sei più portato a fermarti, commentare la storia, mostrare le illustrazioni: tutte attività scoraggiate dalla tecnologia. «Anche l’aspetto della socializzazione potrebbe esserne condizionato», continua il professor Ammaniti. «Già a otto mesi un bambino è attratto dallo schermo. Il rischio è che ne diventi prigioniero, con un conseguente appiattimento delle capacità di interazione con gli altri bambini». Naturalmente molto dipende dal contesto sociale e culturale in cui ci si forma.

«Ogni bimbo è un caso a sé», interviene Emma Baumgartner, studiosa dello sviluppo sociale ed emotivo. «In linea generale è infondato il luogo comune che li ritrae fruitori passivi del touch screen: anche molto piccoli, rimangono cognitivamente attivi. E usano le mani che — come ci hanno insegnato Piaget e Montessori — sono un prolungamento del pensiero». Nessun accento apocalittico, tutto il contrario. «Con un dito il bambino è in grado di produrre qualcosa di straordinario, facoltà che stimola processi importanti sul piano dell’immaginazione ».

Non diversamente dagli adulti, i più piccoli cercano di dare senso e coerenza al proprio stare al mondo. «E a questo sono utili sia i libri tradizionali che gli schermi luminosi: l’importante è che nel processo di costruzione delle informazioni un ruolo di tramite sia svolto da altre persone, che possono essere i genitori, una tata o anche dei bambini». La qualità di questa presenza è data più dall’intensità che dal tempo: «Anche da un touch screen può passare una emozione condivisa », dice la professoressa Baumgartner. «Ed è importante dal punto di vista cognitivo che ci siano sempre allegria e divertimento ».

Quello dell’ultralibro è un fenomeno ormai diffuso. Già entrato nel trenta per cento delle case italiane con bambini (secondo l’ultimo rapporto di “Nati digitali” promosso dall’Aie), non detiene il primato di esclusività: il libro tradizionale resta quello prediletto per le storie della buona notte, mentre al tablet si ricorre di giorno, durante i viaggi o nelle attese al ristorante. Gli editori italiani mostrano prudenza: se i publisher anglosassoni e nordeuropei sono molto avanti, insieme ai cinesi, da noi si preferisce aspettare. E al momento i nuovi signori dell’immaginario infantile sono start up come Minibombo, che ha ricevuto il premio Andersen. Alcuni pedagogisti li sperimentano negli asili nido.

Rosy Nardone, ricercatrice dell’università di Chieti, invita a non demonizzare: «Possono potenziare alcune capacità dei bambini che hanno cervelli complessi e adatti alla multimedialità. Naturalmente questi supporti digitali funzionano se affiancati alla lettura tradizionale». Occorre misura, in sostanza. Ma il problema è nella scarsa alfabetizzazione degli adulti, digitale e non.

«I genitori italiani si dividono tra apocalittici, integrati e inconsapevoli », dicono le responsabili del DigiLab del Salone. «E gli inconsapevoli sono la maggioranza. Lo vediamo dal numero di app scaricate gratuitamente. Pur di non pagare un paio di euro, si preferiscono prodotti scadenti, con pubblicità e chat nascoste. Su questo, sì, bisogna vigilare».

© RIPRODUZIONE RISERVATA Simonetta Fiori16 maggio 2015